Lorenzo Caccianiga

Ex Alunno Einstein



Tu scendi dalle stelle

Qualche spunto di riflessione in più

 

Il 17 Agosto 2017, in una galassia lontana lontana (ma non troppo), è successo ciò che in molti, nel mondo scientifico, a stento osavano anche sperare che succedesse. Due stelle di neutroni, stadi finali della vita di una stella più grande del sole, dopo tanto spiraleggiare l’una intorno all’altra, si sono scontrate e questo evento, chiamato da alcuni “kilonova”, apre per noi una nuova finestra sull’universo. Questo collasso, infatti, è stato osservato in prima battuta dai rivelatori di onde gravitazionali che ormai da qualche anno sono attivi, sperando di cogliere le microscopiche perturbazioni dello spazio-tempo che Einstein aveva previsto cent’anni fa. I rivelatori in questione sono tre: due, situati negli USA, fanno parte del progetto LIGO mentre l’altro, in Italia, si chiama VIRGO. Questi strumenti funzionano misurando le deboli variazioni di interferenza tra due fasci laser in tubi a vuoto lunghi alcuni chilometri. Anche la perturbazione dello spazio-tempo più piccola, di dimensioni atomiche, può essere rilevata da questi sofisticati strumenti: sembra quasi fantascienza, e anche per questo la prima rilevazione di un’onda gravitazionale, avvenuta nel 2015, suscitò così grande entusiasmo. Da allora, altre onde gravitazionali sono state misurate. Quindi cosa rende quest’ultima diversa dalle altre e, per molti versi, molto più importante? Le osservazioni precedenti riguardavano onde emesse in collisioni di buchi neri, oggetti che affascinano molto per la loro caratteristica estrema di non lasciar scappare neppure la luce alla loro attrazione gravitazionale. Proprio questa caratteristica, però, li rende anche meno utili per gli scienziati: un’onda gravitazionale proveniente da una collisione di buchi neri è un evento isolato, fine a se stesso, dato che non ci si aspetta un altro tipo di emissione dall’evento. In particolare, non ci si aspetta di vedere luce associata al medesimo. La collisione di stelle di neutroni invece emette anche luce, non solo visibile, ma in tutte le bande: raggi x, raggi gamma… E proprio questa luce abbiamo visto, e per la prima volta siamo riusciti a vedere con due metodi diversi uno stesso evento, e ognuno ci racconta cose diverse sul fenomeno.

Tra le svariate informazioni che questa osservazione ci ha portato, e che gli scienziati continueranno a studiare sicuramente per un qualche tempo, si è potuta osservare una certa quantità di elementi rari. Questo aggettivo, rari, non sottolinea soltanto l’abbondanza, e quindi la preziosità  che viene a questi associata (come oro e platino), ma anche il fatto che spiegare come essi si producevano era, fino ad oggi, oggetto di varie speculazioni. Gli elementi più leggeri, fino al ferro, vengono prodotti nelle stelle che, prendendo idrogeno ed elio, i due elementi più leggeri formatisi nel Big Bang e fondendoli assieme traggono da queste reazioni proprio l’energia che le fa brillare. Per un certo periodo si era supposto che gli elementi più pesanti del ferro fossero prodotti nelle fasi finali della vita di certe stelle, come le esplosioni di supernova, ma simulazioni approfondite e misure avevano escluso quest’ipotesi: serviva un processo diverso, probabilmente molto più raro e difficile da individuare. L’osservazione del 17 agosto e dei giorni seguenti ha permesso di confermare che la gran parte degli elementi rari dell’universo, incluso il metallo che forma i gioielli che indossiamo, si è creato in un evento di questo tipo, quando due stelle di neutroni si sono scontrate dopo lungo, spiraleggiante balletto.

“Così, gli occhi degli scienziati hanno più di un motivo per brillare: se da una parte lo scontro fra i ballerini cosmici ha ulteriormente corroborato la teoria della relatività generale, esso ha soprattutto generato nuovi campi di studio e approcci inediti, segnando la nuova frontiera della conoscenza”, aggiunge il prof. Luca Guzzardi.  E ancora: “Le sfide dell’astrofisica, insomma, ci rivelano molto anche del carattere dell’impresa scientifica. Non siamo interessati soltanto a confermare o falsificare le nostre teorie, a vedere se avevamo ragione oppure a cambiarle radicalmente perché avevamo torto, ma a capire come sviluppare le nostre conoscenze a partire dalle quattro nozioni (si fa per dire!) che abbiamo in tasca. Vi ricordate come iniziava Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio? Un gruppo di scimmie antropomorfe trova delle ossa di animale e comincia a usarle prima come strumenti e poi come armi. Alla fine di questo preambolo di una decina di minuti, una scimmia scaglia l’osso-arma in cielo; la telecamera ne inquadra il volo e — magia del cinema — lo sfondo si fa scuro, mentre l’osso diviene un’astronave in viaggio verso una stazione spaziale. Quella di Kubrick è una magnifica metafora per immagini del lento emergere e procedere del progresso scientifico-tecnologico dalle nostre necessità primarie. Le scimmie di ieri sono i sapiens di oggi. E — perché no — noi, scimmioni odierni, saremo i sapienti di domani. Anche grazie alle stelle danzanti e a ciò che impariamo da loro.”

Conclude il prof. Saverio Tassi: “La conferenza Tu scendi dalle stelle ha confermato brillantemente la mia convinzione che non si può fare scienza senza filosofia e filosofia senza scienza. Le grandi scoperte scientifiche si basano anche su suggestioni filosofiche e le grandi filosofie sono intessute anche di conoscenze scientifiche. Oggi più che mai l’insegnamento di filosofia nelle scuole dovrebbe evidenziare ed approfondire il nesso decisivo tra pensiero filosofico e pensiero scientifico.”